Dynamo Camp siamo tutti noi
La prima volta che ho sentito parlare del Camp non si chiamava neanche Dynamo. Anzi, un nome non ce l’aveva proprio. Mi ricordo in particolare una lunghissima discussione in un buio pomeriggio di fine autunno nella vecchia casa di Limestre, proprio in cima all’Abetone (dove poi sarebbe sorto il centro) dedicata solo a cercare di capire come battezzarlo. Nel grande salone c’erano due splendidi e storici mappamondi, questo me lo ricordo bene. Anche perché uno è rimasto nel logo, quello con il bambino a cavalcioni. Ma non ricordo proprio come siamo arrivati a questo nome, chi se l’è inventato. Però è perfetto, perché ricorda contemporaneamente le squadre di calcio di quando eravamo piccoli, le luci delle biciclette e un illusionista dei giorni nostri.
E mette insieme l’ingegno, la forza e la creatività con l’innocenza, la dolcezza, il sogno.
E’ una di quelle cose che fanno parte della magia di questa avventura, cresciuta in maniera pazzesca e imprevista nel giro di pochissimo tempo, al punto che sembra sia sempre esistita. E invece ha l’età di un adolescente, che poi è anche quella di molti dei suoi ospiti. Forse (forse) se è diventata così popolare in così poco tempo un pochino è anche merito di noi di Radio Deejay, che l’abbiamo subito adottata. Non solo io, ma tutti. Gli ascoltatori in primis. Il Dynamo Camp siamo noi tutti: chi va in onda, chi ascolta, chi riusciamo ad aiutare.
Anche se, quando ci penso, è come se i Camp fossero due, quello raccontato e quello vissuto.
Il primo è quello della settimana di febbraio in cui tutti i giorni da dieci anni a questa parte ci vengono a trovare i suoi protagonisti: i ragazzi che raccontano le loro storie, o i loro genitori che le raccontano dal loro punto di vista. Lo stesso fanno i volontari, che spesso sono nostri ascoltatori provinati e promossi. E poi ci sono i vari operatori, Serena, Monchilo e tutti gli altri che avete imparato a conoscere.
La grande famiglia di Dynamo Camp.
E’ sempre un momento commovente, lontano anni luce dal tono goliardico che abitualmente ci contraddistingue, e per il quale ho imparato a indossare una maschera di imperturbabilità, senza la quale difficilmente riuscirei a portare a casa la trasmissione. Il problema è che non è che funzioni granché, ma va bene così.
E’ una settimana diversa anche per questo.
Ma è il secondo, quello fisico, quello reale, quello più incredibile.
E’ l’isola che non c’è in cima a una montagna.
Per capirlo però ci dovete passare.
Perché non ci venite a trovare?
Linus
Direttore artistico Radio DEEJAY e Radio Capital